Cari lettori, oggi vi parlo di un romanzo molto particolare che racchiude in sé tematiche universali e assai importanti: “Se mi guardo da fuori” di Teresa Righetti, edito DeA Planeta.
La protagonista della vicenda è Serena, una giovane che si sente costantemente vuota, persa, senza un scopo da perseguire o una strada definita da prendere.
Il lavoro al Chiosco, un rinomato bar di Milano, non fa altro che accentuare questa sua sensazione di invisibilità agli occhi degli altri: nelle vesti di cameriera Serena osserva tutto, scruta con occhi attenti persone e situazioni, ascolta conversazioni e confessioni, si muove come un automa eseguendo gli ordini del suo superiore senza mai intervenire, esporsi troppo o prendere alcuna decisione.
La protagonista appare agli occhi del lettore come una semplice spettatrice della sua vita, come se anche lei non stesse facendo altro che osservare silenziosamente uno schermo su cui scorrono le diapositive che riassumono la sua esistenza.
Sebbene Serena sia la protagonista della storia, non ho mai avuto modo di percepirla come un personaggio attivo: sembra quasi una bambola di pezza abbandonata sul ciglio di una strada in balia delle decisioni altrui, degli eventi e del fato.
Mi guardano come se non riuscissero a mettere a fuoco i miei lineamenti, come se la mia presenza fosse in qualche modo evanescente: mi sembra di avere solo orecchie per sentire e braccia per portare, come se il resto del mio corpo avesse l’unico scopo di sostenere queste cose.
Osservandola con attenzione, ad occhio e croce si potrebbe benissimo affermare che a Serena non manchi nulla: ha una famiglia amorevole, una sorella che ama con tutta sé stessa, un'intramontabile – anche se un po' disconnessa – amicizia, un lavoro e una laurea.
Eppure nell'animo e nel cuore della protagonista c'è una voragine, un pozzo senza fondo che contiene un mostro, un demone che le succhia via tutto ciò di bello che vorrebbe anche solo permettersi di pensare.
Il bisogno d'essere notata e soprattutto di essere amata emerge in maniera definitiva nel momento in cui al Chiosco incontra Leo, un ragazzo affascinante, un po' viziato, dalla battuta e dal sorriso malizioso sempre pronto.
I giorni passano e tutto si evolve. Il rapporto tra Leo e Serena muta, sino a diventare qualcosa di più serio: i due condividono tanti bei momenti, bevute, serate, eppure la protagonista, anche in questo caso, si limita a subire passivamente la situazione e a “prendere quello che viene”, anche se si tratta di mere briciole e niente più.
Tutto ciò che vorrebbe dire rimane sulle sue labbra, in bilico, per poi essere scavalcato da quella risposta che, seppur non veritiera, non può fare a meno di apparire come la più “comoda”.
Serena è tutta freni e paure: il suo demone le impedisce di esprimersi sinceramente, urlando a tutto il mondo che lei vorrebbe solamente essere amata di quell'amore che ti capisce, di quell'amore che ti dimostra presenza, di quell'amore puro e totalizzante che ti avvolge come una coperta calda e rassicurante, di quell'amore che ti sussurra di tanto in tanto che non c'è nulla di male nel perdersi.
Vorrei dire – Andiamocene via per un po’ in un punto del mondo che ancora non conosciamo e in cui nessuno ci conosca, in cui potremmo essere quello che vogliamo, o fingere di non essere affatto; e allora non dovrai preoccuparti di deludere le aspettative degli altri, perché nessuno si aspetterà niente da te. Stiamo soli insieme.
Vorrei dire – Ognuno ha i suoi mostri; se il mio e il tuo s’incontrassero per strada forse si abbraccerebbero.
Pur di non brancolare nel buio insieme al suo mostro, Serena si aggrapperà con le unghie e con i denti alle fragili fondamenta di un amore malato, sbagliato e soggetto a frequenti terremoti che rischieranno di far crollare tutto.
Riuscirà la protagonista a trovare le risposte alle sue domande? Capirà prima o poi che ciò che ha accanto non è altro che un vuoto ed errato sostitutivo dell'amore che in realtà desidera ardentemente?
Mi sentivo così sola insieme a lui che mi ci faceva male lo stomaco. Se cercavo di spiegarglielo non lo capiva e si innervosiva e si offendeva; gli si formavano due rughe sottili ai lati della bocca – Ma mi vuoi ancora?
“Se mi guardo da fuori” è un romanzo che mi ha colpita per i suoi contenuti, ma che a livello stilistico non mi ha assolutamente convinta. La vicenda è scritta in maniera molto particolare, inconsueta, pittoresca: personalmente ho fatto davvero fatica a leggerla. I capitoli sono mediamente lunghi e, a mio avviso, spesso troppo descrittivi. Diverse volte non ho potuto fare a meno di trovare queste descrizioni lunghe e dettagliate a tal punto da essere fuorvianti, da farmi perdere il filo del discorso.
Non metto in discussione le tematiche trattate: ciascuno di noi potrebbe essere Serena, e scommetto che almeno una volta nella vita tutti ci siamo sentiti così, io per prima. Purtroppo però, secondo me, contenuti e stile cozzano, limitando moltissimo il potenziale di questo romanzo.
Essendo comunque ogni lettura assolutamente soggettiva, qualora la trama vi attragga, vi consiglio di dare un'opportunità a questo romanzo senza alcun dubbio ricco d'insegnamenti.
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