Cari lettori, oggi vi parlo del nuovo capolavoro edito Rizzoli “Figli di sangue e ossa” di Tomi Adeyemi.
Una storia rivoluzionaria ricca di mistero, elementi fantastici, adrenalina, romanticismo e pregna di un'intrinseca morale.
La vicenda è ambientata in una terra chiamata Orisha, un luogo in cui 11 anni prima, da quando è avvenuto il Raid – cioè l'uccisione di tutti i Maji da parte del dispotico sovrano Saran – la magia è scomparsa per sempre.
I Maji non sono altro che individui dotati di poteri e che, a seconda della loro unicità, si suddividono in clan: abbiamo il clan Ikù, con i Maji della vita e della morte, il clan Emì, con i Maji della mente, dello spirito e dei sogni, il clan Omi, con i Maji dell'acqua, il clan Aiye, con i Maji del ferro e della terra, e così via.
Gli unici sopravvissuti alla strage furono i bambini di età inferiore ai tredici anni, età in cui, in circostanze normali, avrebbero dovuto finalmente poter abbracciare i loro poteri.
Quest'ultimi prendono il nome di Indovini, hanno come segno caratteristico splendidi e lucenti capelli bianchi e, sebbene prima fossero idolatrati, col passare degli anni e lo sparire della magia non hanno fatto altro che subire maltrattamenti e discriminazioni.
Soli al mondo, ghettizzati e schiavizzati, non solo vengono costantemente derisi e tassati ingentemente, ma anche spesso costretti a pesanti lavori forzati come scorte reali.
Impossibile evitare le scorte.
[…] Forse mi assegneranno a palazzo. Servire nobili viziati è sempre meglio che respirare polvere di carbone nelle miniere di Calabrar o negli altri atroci luoghi in cui i guardiani delle scorte possono far finire le indovine. Da ciò che ho sentito dire, i bordelli sotterranei impallidiscono rispetto a ciò che i guardiani delle scorte potrebbero costringermi a fare.
La prima dei tre personaggi principali, nonché voce narrante predominante, è Zèlie, una giovane indovina che, durante il Raid, ha dovuto dire brutalmente addio a sua madre.
Giovane coraggiosa e dal temperamento frizzante, è successivamente cresciuta accanto a Baba, suo padre e Tzain, suo fratello maggiore.
La protagonista ha dentro di sé un fuoco che arde, un mare in tempesta, una bufera di neve: è un'adolescente combattiva, istintiva e al tempo stesso tremendamente spaventata dalla vita.
In quanto indovina dagli occhi argentei e dai lunghi capelli bianchi, la sua esistenza è da sempre un inferno carico di dolore, uno stato d'allerta che le impedisce una quotidianità spensierata.
Per non essere succube delle brutalità che spopolano contro la sua gente e per non essere totalmente indifesa, Zèlie prende segretamente lezioni di combattimento da un'anziana signora del villaggio, Mama Agba.
Della protagonista ho davvero apprezzato la spontaneità e la fragilità che, al di là di uno scudo di apparenze da cui traspare una personalità indistruttibile, emerge il suo lato umano, terrorizzato da tutto ciò che potrebbe succederle.
“Non devi avere paura...”
“Io ho sempre paura!”
Non so che cosa mi sciocchi maggiormente: la forza della mia voce oppure le parole stesse.
Paura.
Io ho sempre paura.
È una verità che ho seppellito per anni, qualcosa che ho faticato tanto a superare. Perché, quando si presenta, mi paralizza.
Non riesco a respirare.
Non riesco a parlare.
Il secondo personaggio di rilievo è Amari, principessa e figlia del re Saran. Non condividendo gli ideali del padre, la giovane si incamminerà al di fuori della gabbia dorata che è palazzo reale, per aiutare i Maji.
Sarà proprio in questa occasione che la vita della principessa e quella di Zèlie si incroceranno: sebbene il rapporto iniziale tra le due non sia esattamente idilliaco, col passare del tempo la loro relazione cambierà nettamente.
Maturerà inoltre anche, con lo scorrere delle pagine, la figura di Amari, una Leonera rimasta assopita per troppo tempo, addomesticata da una madre rigorosa e severa e da un padre spregevole.
La sua unica luce, oltre a Binta, la sua migliore amica, sarà Inan, fratello e futuro re di Orisha.
È una ragazza dagli occhi color ambra avvolta in un mantello.
Mi trascina in un'apertura nascosta tra le due bancarelle con tale forza che non riesco a liberarmi della sua morsa.
“Ti prego” mi implora. “Devi portarmi fuori da qui!”
Inan è un una figura molto emblematica. Inconsciamente manipolato dal padre, non si è mai concesso la libertà di pensare o prendere una decisione in maniera autonoma. Tra tutti i protagonisti, lui è indubbiamente quello più controverso e misterioso. Personalmente non posso negare di essere rimasta affascinata dal suo personaggio sin dall'inizio: ho infatti adorato i capitoli da lui narrati, così come le riflessioni e i sogni che avvengono nella sua mente.
“Figli di sangue e ossa” è un romanzo corposo che però non fa affatto pesare la sua mole. L'autrice è stata così brava da incantare e stregare il lettore in una serie di eventi magici, concatenati, innovativi e sorprendenti.
Lo stile di scrittura, associato ad un mondo del tutto nuovo e pregno di mitologia, permette una lettura fluida, scorrevole e dinamica.
All'interno della vicenda spicca in maniera implicita una denuncia alla discriminazione e al razzismo, fenomeni che, purtroppo, pullulano anche nel mondo reale.
Ho inoltre apprezzato il fatto che ciascun personaggio sia stato davvero ben caratterizzato e a proprio modo importante. Arguto, forte e malizioso, non ho potuto fare a meno di affezionarmi a Roen, un elemento che sopraggiungerà nella seconda parte della storia.
“Figli di sangue e ossa” termina con un’incredibile cliffhanger che lascerà il lettore non solo confuso, ma anche con una miriade di domande in testa.
Cosa ne sarà di Zèlie, dei Maji, di Amari, Inan e Tzain? Cosa ne sarà della magia?
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